Low waste_Glossario

03. LOW WASTE

Non abbiamo bisogno di poche persone che praticano lo zero waste alla perfezione. Abbiamo bisogno di milioni di persone che lo facciano in maniera imperfetta.

Anne-Marie Bonneau

PERCHÉ LOW WASTE

“Low Waste” è la filosofia che sta alla base della scelta di ridurre al minimo il proprio impatto sul pianeta.

Renderlo nullo, infatti, è praticamente impossibile. Anche la nostra più piccola azione ha conseguenze sull’intero ecosistema e questo è il motivo per cui il termine “Zero Waste”, sdoganato negli ultimi anni, ha poco fondamento.

Prima riconosciamo che la nostra impronta sulla Terra è inevitabile, prima potremo adottare scelte e comportamenti che tengano in considerazione le conseguenze ambientali delle nostre azioni.

RIDURRE L’IMPATTO

Partiamo dalle basi. L’uomo è l’unico animale che produce rifiuti che non possono essere completamente riassorbiti e riutilizzati dall’ecosistema. Gli animali in generale, invece, producono sì prodotti di scarto, ma che sono biodegradabili e che possono rientrare nel ciclo di rigenerazione della Terra.

Qual è il problema di produrre rifiuti che non sono organici? Pochissimi di questi prodotti di sintesi possono essere riutilizzati e vanno ad accumularsi, impattando negativamente sia sull’ambiente naturale che animale. Da un lato diventa inquinamento che rilascia sostanze nocive, dall’altro interferisce con la vita e la crescita degli esseri viventi che ci circondano, oltre che con le nostre.

E’ importantissimo capire e interiorizzare che abbiamo a disposizione solo un pianeta, che stiamo lentamente distruggendo con il nostro consumismo sfrenato. Ciò non significa che dovremo fare passi indietro nella nostra evoluzione, ma semplicemente che dovremo imparare a fare delle scelte e degli acquisti più consapevoli e il meno impattanti possibili.

Quindi, il primo obiettivo che tutti dovremmo porci come essenziale dovrebbe essere quello di ridurre al minimo i nostri rifiuti.

DALLA RACCOLTA DIFFERENZIATA ALL’ACQUISTO CRITICO

Verso la fine degli anni ‘90, dall’introduzione della raccolta differenziata all’attribuzione della classe energetica agli elettrodomestici, sono state numerose le innovazioni attente all’ambiente che sono entrate direttamente nella quotidianità degli italiani. Il risvolto positivo è stato la responsabilizzazione della singola persona riguardo le tematiche ambientali, quello negativo che il cittadino medio si è illuso di “star facendo abbastanza”.  

Queste buone pratiche, ancora oggi fondamentali, non possono compensare l’impatto ambientale dello stile di vita a cui siamo abituati e, se nutriamo la più basilare empatia nei confronti del pianeta, occorre un generale cambio di prospettiva.

Ogni oggetto o bene di consumo ha un duplice impatto ambientale: il primo legato alle emissioni ed energie necessarie per la sua produzione e fruizione, il secondo per le emissioni ed energie necessarie per il suo smaltimento.

Valutare i propri acquisti in termini di peso ambientale significa quindi tener conto sia del prezzo che il pianeta ha pagato per la produzione, sia del prezzo che il pianeta pagherà per lo smaltimento.

Tra le azioni quotidiane che si possono adottare per la filosofia low waste la raccolta differenziata costituisce solo l’ultima “estrema” opzione: prima di preoccuparsi dello smaltimento, da un lato c’è l’optare per prodotti ad un basso impatto ambientale nella fase produttiva, dall’altro ridurre al minimo la produzione dei rifiuti. 

Ad esempio, parlando di cibo, l’impatto ambientale di alimenti provenienti dall’altra parte del mondo, ampiamente processati o di origine animale, è incredibilmente più pesante di quello degli alimenti locali, non processati o di origine vegetale.

Partendo dal presupposto che ogni scelta è un possibile passo nella direzione giusta, non esiste un approccio dogmatico alla riduzione del proprio impatto ambientale: ci sono diverse strade percorribili.

L’AUTOPRODUZIONE E IL MUTUO AIUTO

La prima scelta che si può attuare è quella di preferire l’autoproduzione rispetto all’acquisto. Questo, principalmente, per evitare di produrre quantità ingenti di imballaggi (nella maggior parte dei casi, di plastica) che inevitabilmente finiranno nella pattumiera di casa. Siamo abituati a vedere questi rifiuti come un male “necessario” al nostro benessere ma con la giusta attenzione si potrebbe evitare di produrne così tanti.

Dedicare un po’ del proprio tempo ad autoprodurre cibi od oggetti può essere non solo meno impattante, ma anche molto soddisfacente. L’utilizzo della manualità ci può far riscoprire antiche arti, spesso messe da parte perché considerate obsolete per la tecnologia a cui ci siamo abituati. Non occorre essere dei maghi per autoprodurre ciò che ci serve. Tutto dovrebbe concorrere alla funzionalità della nostra esistenza, riducendo però l’impatto che non vogliamo avere sull’ambiente. Fare il pane in casa, produrre saponi per sé e per i propri cari, creare oggetti con materiali naturali, coltivare un piccolo orto o fare un maglione in casa sono tutti piccoli esempi. Non dobbiamo essere perfetti e non dobbiamo saper fare tutto, ma l’importante è provarci, per quanto è nelle nostre possibilità.

Questo ci dovrebbe aiutare a tornare a stringere legami con le persone che non siamo più abituati ad avere. Lo scambio del proprio lavoro e/o dei propri prodotti dovrebbe essere maggiormente incentivato, perché fa sì che non si debba ricorrere sempre e comunque all’acquisto di merci che quasi sicuramente hanno dovuto viaggiare per migliaia di chilometri per arrivare nelle nostre case. Se ognuno di noi autoproducesse in base alle proprie abilità, potrebbe mettere in circolo i propri prodotti in cambio di quelli di altri vicini o conoscenti, limitrofi alla propria vita. Così le confetture prodotte con le fragole del mio orto potrebbero essere una genuina merce di scambio con il mio vicino che sa riparare un elettrodomestico.

LA RIPARAZIONE E IL RICICLO CREATIVO

Questo esempio ci introduce a un altro grosso problema che interessa tutti noi da diversi anni. Abbiamo perso l’abitudine di riparare le cose. Siamo così abituati alla corsa all’acquisto dell’ultimo modello di qualunque oggetto che non prendiamo più nemmeno in considerazione la possibilità che questo possa essere riparato qualora si rompa. E’ più semplice disfarsene, piuttosto che cercare di ridargli una seconda vita, magari sostituendo facilmente un pezzo. E spesso diamo come motivazione il vantaggio economico che se ne ricava, che però, ammesso che realmente ci sia, non tiene conto del danno ambientale che ne consegue. E’ più importante aver guadagnato qualche decina di euro piuttosto che aver evitato che tonnellate di Co2 vengano prodotte per lo smaltimento (nel migliore dei casi!) di quell’oggetto. Quindi, invece di favorire l’acquisto e la produzione di beni usa e getta, dovremmo in generale tutti impegnarci affinché vengano prodotti beni durevoli e facilmente riparabili.

 

C’è chi controbatte che questo porterebbe alla perdita di posti di lavoro ma, in realtà, nessuno vuole eliminare le figure professionali necessarie al funzionamento della nostra economia. Semplicemente, dovremmo riconvertire queste professionalità a far sì che non si occupino di produzione di beni, ma di riqualificazione degli stessi. Così, se una lavatrice si rompe, non è necessario portarla in discarica, ma ovviamente ci dovremo rivolgere a un tecnico che non ci consigli un nuovo acquisto, ma che insista affinché venga riparata. Non è detto che ci convenga necessariamente da un punto di vista economico, ma quanto invece potremmo guadagnarci da un punto di vista ambientale?

Inoltre, se un bene potesse effettivamente non essere riparato, abbiamo una strada percorribile prima di disfarcene, che è quella del riciclo creativo. Molti oggetti con una funzione originaria possono essere riutilizzati con un altro scopo, magari assemblandone diversi tra loro, oppure smembrandoli per poterne riutilizzare componenti. Esistono persino aziende che sfruttando materiali che in alternativa andrebbero buttati, riescono a produrre nuovi oggetti, con una resa incredibile e creando nuovi bene nuovamente durevoli.

L’USATO

E qualora un oggetto che prima ci è sembrato indispensabile, improvvisamente non destasse alcun nostro interesse, cosa ne dovremmo fare? Accumulare e tenerlo da parte non è sempre la scelta migliore, soprattutto quando sappiamo che quel bene potrebbe essere utile a qualcun altro.

Ormai mercatini e negozi dell’usato sono ampiamente diffusi e dovremmo imparare a sfruttarne a pieno le potenzialità, sia come venditori che come acquirenti. Magari, dove non riusciamo ad arrivare con la nostra autoproduzione o con il mutuo aiuto di qualche vicino, possiamo sopperire con l’acquisto di un bene che in alternativa non avrebbe avuto una seconda vita, ma che in realtà può diventare indispensabile per noi o per qualcun altro.

L’ECONOMIA LOCALE

Un altro aspetto legato alla scelta dei nostri acquisti è sicuramente quello dell’economia locale. Per quanto ci è possibile, dovremmo scegliere i famigerati prodotti “a km 0”. Cosa significa?

Che se non abbiamo la possibilità di autoprodurre ciò che ci serve, se non possiamo barattare con la nostra rete di vicini, se non possiamo eventualmente riparare l’oggetto in questione, dovremmo scegliere di comprarlo vicino a noi, sostenendo sia l’economia locale, sia evitando di mettere in circolo altra contaminazione derivante dagli imballaggi non riciclabili e dal pesante impatto dei mezzi di trasporto, che ricordiamo essere ancora la prima causa di inquinamento globale.

La scelta di affidarsi per i propri acquisti alle grosse compagnie che promettono di consegnare i beni desiderati nell’arco di 24 ore, determina un pesante impatto sul nostro pianeta. I mezzi di trasporto che continuamente percorrono chilometri e chilometri per soddisfare i clienti più esigenti in ogni dove, emettono gas derivanti dalla combustione di combustibili fossili come nessun altro comparto industriale. Eppure continuiamo a vedere questo impatto come lontano dalla nostra vita, come se nulla di tutto ciò ci potesse interessare direttamente. Invece è qui, davanti ai nostri occhi e non facciamo niente per limitarlo, preferendo dare priorità al nostro egoismo.

COMPRARE PRODOTTI SFUSI

È buona pratica quindi acquistare alimenti di stagione, prodotti il più vicino possibile e distribuiti senza imballaggi superflui. Ciò si traduce in materie prime fresche, reperibili al mercato, nelle botteghe, o direttamente dai produttori.

Negli ultimi anni, poi, sono nati negozi e piccoli reparti anche nella grande distribuzione dedicati all’acquisto di prodotti sfusi. Cosa significa? Significa che propongono la vendita dei beni (normalmente alimentari) che siamo abituati a comprare monoporzionati e imballati singolarmente, con la differenza di essere venduti in quantità libere e senza l’utilizzo di packaging. Invece del sacchetto in plastica termosaldato da 500g di farina, potremmo portare a casa lo stesso prodotto, forse in quantità maggiori, o in un sacchetto di carta (ovviamente meno impattante e sempre riciclabile) oppure addirittura nel nostro contenitore, magari in vetro, riutilizzabile in eterno. Ciò fa sì che si elimini sia il materiale non biodegradabile che andrebbe poi conferito tra i rifiuti domestici, sia che si riduca l’inquinamento derivante dal trasporto, se scegliamo di acquistare maggiori quantità in una sola volta.

Normalmente, poi, aziende di questo tipo, già attente al proprio impatto, scelgono di avere per fornitori solo realtà produttive che a loro volta lavorano tendenzialmente secondo criteri di maggiore impegno, sia ambientale che sociale, certificate secondo determinati standard da Organismi di Controllo.

I GAS E LA FILIERA CORTA

Attualmente sono numerosi i sistemi che accorciano le distanze tra i consumatori e i produttori. 

I GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) rientrano in parte nella logica dell’acquisto dei prodotti sfusi. Chi decide di farne parte, si impegna a collaborare con altre persone interessate alle stesse tematiche per far sì che il proprio ruolo di consumatore non impatti in maniera troppo pesante, sia per quanto riguarda il peso sulla natura, sia sulla vita delle persone. Così, insieme, i gasisti scelgono fornitori comuni che rispettino determinati valori che li accomunano, e comprano in grosse quantità poche tipologie di prodotti, suddividendo poi la spesa economica usufruendo tutti della merce che, da un lato impatta di meno perché arrivata in un solo viaggio, e dall’altro accontenta l’economia famigliare di tutti, che possono accedere a prodotti di qualità elevata a prezzi inferiori di quelli normalmente presenti sul mercato.

Oggi esistono alcune evoluzioni (rivisitazione in chiave più metropolitana) del principio dei GAS che tramite app consentono al singolo di partecipare, come e quando vuole, ad un gruppo d’acquisto. Un esempio è “L’alveare Che Dice Sì”. 

Il MINIMALISMO

Negli ultimi anni ha iniziato a farsi strada in occidente un concetto che è già largamente sdoganato in oriente, dove da centinaia di anni, la filosofia dell’essenzialità è alla base di molti comportamenti e abitudini. L’idea che sta alla base, sintetizzando molto, è che non occorre possedere tanti oggetti per poter essere felici. In parte, questo aspetto ci aiuta nella nostra riflessione “Low Waste”. Avere poche cose, ma tenerle con cura e utilizzarle veramente fino all’esaurimento delle loro potenzialità, ci può aiutare ad instaurare con esse  un approccio più rispettoso.

Il consumismo a cui siamo abituati ad assistere e a partecipare ci sta logorando sempre di più e le vere domande che dovremmo sempre porci prima di comprare qualsiasi cosa dovrebbe essere “Mi serve davvero? Potrei farne a meno?”.

RICICLARE

Infine, ma è bene sempre ricordarlo, qualora non fosse possibile fare nulla di quanto detto fino a qui, l’ultima strada percorribile, è quella del riciclo.

E’ molto importante informarsi presso il proprio comune sui metodi di riciclaggio dei nostri rifiuti, ricordando però che in realtà solo una piccola parte di quelli che produciamo nella nostra quotidianità, possono rientrare effettivamente nel ciclo produttivo, mentre la grossa parte viene eliminata producendo ulteriore inquinamento che la Terra deve “gestire”.

Cerchiamo sempre, quindi, di preferire gli altri metodi che abbiamo nominato, per cercare di limitare, per quanto ci è possibile, la nostra pressante presenza sul pianeta, che tanto ci dà e a cui tanto, anzi troppo, togliamo.

 

Comments are closed.

0 %